La malnutrizione può essere definita come uno stato di alterazione funzionale, strutturale e di sviluppo dell’organismo conseguente alla discrepanza tra bisogni, introiti e utilizzazione dei nutrienti, tale da comportare un eccesso di morbilità e mortalità o alterazione della qualità della vita. Nei Paesi economicamente avanzati, la malnutrizione proteico-calorica (MPC) si manifesta quasi esclusivamente nella popolazione senile e/o prevalentemente in pazienti affetti da alcune categorie di patologie, quali insufficienza renale, cardiaca o epatica e malattie malformative congenite, neurologiche (vascolari, ipossiche o degenerative), respiratorie, gastroenterologiche, polmonari, o tumorali (in particolare di testa-collo e dell’apparato digerente) e trattamenti correlati (chirurgia, chemioterapia, radioterapia). Condiziona negativamente la prognosi di un paziente comportando una depressione della risposta immunitaria, ma anche una riduzione della capacità di cicatrizzazione o l’alterazione funzionale degli organi. Tutto ciò implica che la malnutrizione può essere considerata a tutti gli effetti “una malattia nella malattia”. L’individuazione precoce delle situazioni a rischio di malnutrizione consentirebbe di ridurne gli effetti negativi, attraverso l’elaborazione di uno specifico piano terapeutico nutrizionale, che prevede le opportune modifiche delle abitudini alimentari e, se non sufficienti a soddisfare tutti i fabbisogni nutrizionali, l’impiego dei differenti tipi di supporti nutrizionali orali (SNO). Si definiscono SNO i prodotti a formulazione definita, da utilizzare come supporto nutrizionale (integratori) dell’alimentazione comune. Questa strategia ha la finalità di fornire, a pazienti ancora in grado di alimentarsi per via naturale, una quota aggiuntiva di nutrienti, in particolare: sali minerali, vitamine, antiossidanti, acidi grassi polinsaturi e omega-3, proteine, fibre alimentari/prebiotici, e altre sostanze aventi un favorevole effetto fisiologico sufficiente a coprire i fabbisogni nutritivi. In conclusione, l’impiego dei SNO rappresenta un presidio terapeutico utile nella prevenzione della malnutrizione e dei suoi effetti clinici negativi, migliorando lo stato nutrizionale e la sopravvivenza. Va ricordato che l’integratore non è adatto per essere utilizzato come unica fonte di nutrimento.
Il ferro è un componente fondamentale dell’emoglobina, la proteina che trasporta l’ossigeno dai polmoni al resto del corpo, e della mioglobina, la proteina che rifornisce di ossigeno i muscoli.
Questo minerale partecipa all’attività di molti enzimi (esempio: citocromo, catalasi, perossidasi) e l’organismo ne ha bisogno per produrre ormoni e tessuto connettivo.
La dose giornaliera raccomandata per un adulto è 14mg, questo fabbisogno varia a seconda dell’età, del sesso e di condizioni particolari come la gravidanza e l’allattamento, infatti le donne necessitano di assumerne quantitativi maggiori rispetto agli uomini.
La carenza di ferro ha come prima conseguenza l’anemia, cioè la riduzione dei globuli rossi nel sangue e quindi la perdita della capacità di distribuire l’ossigeno a organi e tessuti. Gli effetti sono: stanchezza, mancanza di energie, disturbi gastrointestinali, difficoltà di memoria e concentrazione, calo delle difese immunitarie e problemi di termoregolazione.
L’anemia negli anziani è particolarmente rilevante in quanto ha una serie di gravi conseguenze: maggiore incidenza di malattie cardiovascolari, deterioramento cognitivo con la riduzione delle prestazioni fisiche, aumento del rischio di cadute e fratture. In aggiunta, la carenza di ferro porta alla rapida perdita di enzimi ferro-dipendenti e alla degenerazione della mucosa esofagea, con il conseguente sviluppo di stenosi esofagea e quindi difficoltà nella deglutizione.
La presenza di anemia è significativamente associata a permanenze ospedaliere più lunghe, con un aumento del rischio di mortalità.
La prevalenza di anemia aumenta con l’avanzare dell’età ed è spesso multifattoriale.
La steatosi epatica (non-alcoholic fatty liver disease – NAFLD), più comunemente nota come «fegato grasso», è l’epatopatia più comune tra i bambini e gli adolescenti dei paesi occidentali. Consiste, appunto, nell’accumulo di grasso nel fegato, come risultato di uno squilibrio della ripartizione dei lipidi a livello epatico.
Di per sé non dà sintomi e non è patologica, però può evolvere in una forma più grave di steatosi, la Steatoepatite Alcolica (NASH), che può progredire in forme ancora più gravi come fibrosi epatica e cirrosi epatica. Il meccanismo alla base della steatosi è l’insulino-resistenza, cioè un’aumentata resistenza da parte dell’organismo all’azione dell’insulina, problema associato allo sviluppo di diabete, obesità, ipertensione arteriosa e aterosclerosi, quindi aumenta anche il rischio di malattia cardiovascolare.
Sebbene la diagnosi di epatopatia metabolica possa avvenire per esclusione di altre cause e le tecniche non-invasive di «stadiazione» della malattia (ad esempio l’elastografia transiente) possano essere utili per valutare la presenza di fibrosi, l’esame istologico tramite biopsia epatica rappresenta l’unico in grado di dare informazioni certe e di identificare le caratteristiche microscopiche proprie della steatoepatite (infiammazione e degenerazione delle cellule epatiche) e di valutare la presenza di fibrosi e alterazioni strutturali (come la cirrosi) del fegato. è fondamentale la ricerca dei fattori potenzialmente responsabili dell’accumulo di grasso (dislipidemia, intolleranza glucidica, diabete, sovrappeso o obesità, assunzione di alcolici).
Bisogna contrastare NAFLD (non-alcoholic fatty liver disease) modificando le abitudini alimentari e comportamentali, diminuendo l’intake calorico giornaliero; promuovendo l’attività fisica.
Purtroppo, non esistono terapie farmacologiche approvate contro le steatosi e le steatoepatite; studi recenti hanno valutato l’efficacia di terapie specifiche mirate alla perdita di peso e che riducano il danno epatico grazie all’assunzione di sostanze lipo-normalizzanti, antinfiammatorie e agenti antiossidanti.
FoodAR ha ideato e sviluppato il prodotto Prodha Steatolip contenente:
L’obiettivo è l’arresto della progressione di NAFLD e NASH, la regressione della patologia e il recupero delle funzioni metaboliche del fegato.
Il dolore è un’esperienza sensoriale ed emotiva spiacevole associata ad una condizione di danno reale o potenziale dei tessuti. La sensazione dolorosa è prodotta da molteplici stimoli classificabili come meccanici, termici e chimici, con intensità tale da renderli potenzialmente dannosi.
La soglia di percezione del dolore è estremamente variabile da persona a persona e, nello stesso individuo, anche da momento a momento. Ciò è in parte dovuto alla capacità del sistema nervoso di modulare l’afferenza dei segnali dolorifici mediante l’attivazione di un apparato di controllo chiamato “sistema analgesico”.
I neonati e lattanti, sono sottoposti a eventi di stress che causano inevitabilmente dolore con comportamenti, manifestazioni neurovegetative e modificazioni metabolico-ormonali più o meno rilevabili e quantificabili.
In questo ambito la mimica del volto sembra essere l’indice più specifico e sensibile del dolore nel neonato (rigonfiamento della fronte, occhi strizzati, solco naso-labbiale, bocca aperta), in grado pertanto di riflettere esternamente il segno indotto dagli stimoli dannosi. Anche il pianto, costituisce un importante fonte di informazioni circa lo stato del neonato. La caratteristica dell’attività respiratoria è un’altra espressione utile a comprendere come il neonato reagisce al dolore. Uno stimolo doloroso induce, anche, una serie di reazioni motorie caratteristiche dell’età neonatale, con flessione e abduzione dei quattro arti, estensione delle dita e inarcamento del dorso.
Una delle principali differenze tra percezione del dolore nel neonato e nelle età successive risiede nell’immaturità funzionale del sistema analgesico alla nascita, per cui esso risulta solo parzialmente in grado di modulare le afferenze nocicettive periferiche.
è quindi indispensabile trattare, o anche, prevenire il dolore nei neonati.
Le procedure che provocano dolore non prolungato ma intenso possono essere gestite con approcci non farmacologici e strategie preventive. A tali trattamenti si riferiscono l’uso del seno materno, il cambiamento della posizione, il cullare tra le braccia, le luci soffuse: tutti approcci utilizzati con neonati e lattanti che hanno avuto più o meno successo per la gestione del dolore.
Diversi studi controllati hanno dimostrato come soluzioni di sapore dolce altamente concentrato, somministrabile per via orale prima dell’intervento doloroso siano in grado di calmare le crisi di pianto e ridurre il dolore dei neonati sottoposti a: prelievo con capillare sotto il tallone; vaccinazione; prelievo venoso.
Il saccarosio è la soluzione più semplice da usare con efficacia documentata priva di effetti collaterali.
A tal proposito, FoodAR ha sviluppato una soluzione orale monodose a base di saccarosio (concentrato al 24%) per un uso semplice e sicuro con il massimo rispetto delle condizioni igieniche per somministrare un prodotto sterile: Baby saccarosio 24% privo di conservanti e di coloranti.
Di per sé non dà sintomi e non è patologica, però può evolvere in una forma più grave di steatosi, la Steatoepatite Alcolica (NASH), che può progredire in forme ancora più gravi come fibrosi epatica e cirrosi epatica. Il meccanismo alla base della steatosi è l’insulino-resistenza, cioè un’aumentata resistenza da parte dell’organismo all’azione dell’insulina, problema associato allo sviluppo di diabete, obesità, ipertensione arteriosa e aterosclerosi, quindi aumenta anche il rischio di malattia cardiovascolare.
Sebbene la diagnosi di epatopatia metabolica possa avvenire per esclusione di altre cause e le tecniche non-invasive di «stadiazione» della malattia (ad esempio l’elastografia transiente) possano essere utili per valutare la presenza di fibrosi, l’esame istologico tramite biopsia epatica rappresenta l’unico in grado di dare informazioni certe e di identificare le caratteristiche microscopiche proprie della steatoepatite (infiammazione e degenerazione delle cellule epatiche) e di valutare la presenza di fibrosi e alterazioni strutturali (come la cirrosi) del fegato. è fondamentale la ricerca dei fattori potenzialmente responsabili dell’accumulo di grasso (dislipidemia, intolleranza glucidica, diabete, sovrappeso o obesità, assunzione di alcolici).
Bisogna contrastare NAFLD (non-alcoholic fatty liver disease) modificando le abitudini alimentari e comportamentali, diminuendo l’intake calorico giornaliero; promuovendo l’attività fisica.
Purtroppo, non esistono terapie farmacologiche approvate contro le steatosi e le steatoepatite; studi recenti hanno valutato l’efficacia di terapie specifiche mirate alla perdita di peso e che riducano il danno epatico grazie all’assunzione di sostanze lipo-normalizzanti, antinfiammatorie e agenti antiossidanti.
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